Scarpette rosse solo per ballare nella vita

Carminella ha sempre sostenuto con le sue idee e progetti che per cambiare davvero lo stato delle cose sia necessaria una trasformazione culturale nel pensiero di ognuno di noi: donne, uomini, ragazze e ragazzi. Questa possibilità di cambiamento profondo può avvenire soltanto nel continuo e costante confronto tra le vecchie e le nuove generazioni.

Ecco perché oggi Carminella è davvero lusingata di pubblicare lo scritto di Giulia Parise, studentessa del Liceo Telesio di Cosenza, che ha voluto esprimere il suo pensiero sulla violenza alle donne che tanto ancora, in forme diverse, viene agita contro la realtà femminile.

(Con questo lavoro Giulia Parise, insieme ai lavori di altre ragazze e ragazzi, ha vinto il Concorso – bandito in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne il 25 novembre – per dire “No alla violenza in modo partecipativo” indetto da Soroptimist International d’Italia club di Cosenza, la cui premiazione è avvenuta il 13 marzo 2014 presso la sala Giacomantonio della Biblioteca Nazionale della città di Cosenza)

 

Scarpette rosse solo per ballare nella vita

di Giulia Parise

 

Scarpette rosse allineate a mostrare l’orrore: scarpe rosso sangue.

Una donna su tre, al mondo, è stata picchiata, forzata ad avere rapporti sessuali, o ha comunque subito abusi almeno una volta nella sua vita, secondo fonti statistiche ONU.

Donne sfregiate dall’acido per aver rifiutato un matrimonio combinato, mutilate nella loro femminilità per “cultura”, bruciate vive dal proprio ragazzo per un rifiuto.

La violenza domestica, quella subita dagli uomini di casa, anche padri o fratelli, è la prima causa di morte nel mondo per le donne tra i 16 e i 44 anni, più degli incidenti stradali, più delle malattie.

In Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa da un marito, un fidanzato, spesso compagni o ex compagni di anni di vita, padri di figli cresciuti insieme.

Ed è difficile la denuncia, uno stupro nello stupro, è difficile rendersi conto della radicale pretesa di assimilazione e di possesso da parte dell’uomo. Il potere maschile resta intrecciato all’ordine sociale e continua a lavorare nell’oscurità dei corpi, squilibra i rapporti e i ruoli, presidia la cultura e il linguaggio, cerca di riaffermarsi nelle scuole e nelle famiglie e quando ci si accorge del “mostro” spesso è troppo tardi.

Per questo bisogna affrontare il fenomeno da una nuova prospettiva: la violenza sulle donne, che in alcuni casi si spinge fino all’omicidio, ossia al “femminicidio”, non è una collezione di fatti privati, ma una tragedia che parla a tutti e soprattutto che riguarda tutti.

In tale prospettiva il tema, da qualche tempo, è sempre più al centro del dibattito pubblico. D’altra parte, in un’epoca che si professa civilizzata come la nostra il fenomeno sta raggiungendo dimensioni che definire barbariche è poco.

La modernità è arrivata quasi in tutto, nella tecnologia, nei trasporti, nelle comunicazioni, nell’alimentazione. Ma i rapporti più civili sembrano essere ancora una conquista lontana.

Anche la legislazione specifica in materia, al di là del codice penale, in Italia è recente:

del 1996 sono le “Norme contro la violenza sessuale”, del 2001 le “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”, del 2009 le “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, del 2013 le “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”.

Certamente non sarà un appello, una nuova Carta dei diritti, non saranno uno spettacolo, un documentario, un’inchiesta o un libro a fermare la strage delle donne, neanche le migliori leggi, seppur necessarie, basteranno.

Eppure parlarne, scrivere, raccontare le storie, muoversi insieme, donne e uomini, andare nei teatri o nelle strade con un pensiero comune anti-violenza, tutto questo è un passo importante per capire. E capirci qualcosa aiuta noi a superare quel senso di turbata estraneità che ci prende davanti ai fatti di cronaca e aiuta magari le vittime, almeno alcune tra loro, a scuotersi e salvarsi in tempo.

E cambiare rotta vuol dire assumere una nuova mentalità, ponendo al centro la parola “rispetto”, perché si può pensare che la violenza contro le donne sia soltanto lo stupro consumato, ma non è così. Quello è un reato, anche molto grave, ma non è l’unica forma di violenza, il fenomeno lo si può riassumere in tre parole: “Minacciare, Umiliare, Picchiare”. La violenza di genere non è solo l’aggressione fisica di un uomo contro una donna, ma include anche vessazioni psicologiche, ricatti economici, minacce, persecuzioni. Compiute da un uomo contro una donna in quanto donna.

Violenza di genere è la discriminazione sui luoghi di lavoro, la necessità di inserire “quote rosa” per facilitare l’accesso alla politica ed alle professioni cd. “maschili”.

Maschio/Femmina, forza/debolezza, robustezza/delicatezza… Stereotipi che pur se superati dai nostri tempi, almeno nei paesi sviluppati, ancora persistono nel profondo delle nostre anime, scavano dei solchi e creano degli squilibri nei rapporti.

I numeri sono troppo imponenti per non dedurre che il lato oscuro è ancora insito nei modelli culturali di tutto il mondo, anche nel “nostro mondo”. Per troppo tempo la figura della donna è stata relegata a ruoli di inferiorità rispetto agli uomini. È necessario cambiare questa visione, ma è un processo lungo, che richiederà molto tempo. E che deve partire dalle donne stesse, dalle madri innanzitutto. Un cambiamento che deve interessare tutte le componenti sociali, giacché molte volte il degrado economico-sociale genera miseria anche umana e morale. Non bastano le leggi di repressione, occorre ora più che mai investire nella prevenzione, cercando di creare condizioni di pari opportunità reali. Per esempio, se la vittima della violenza domestica teme di non poter andare via di casa perché non sa se potrà essere mai indipendente, avrà ancora più difficoltà ad uscire da una situazione drammatica come è quella di subire maltrattamenti dalla persona amata. Su questo bisogna lavorare ancora tanto e l’Italia, nonostante una fitta rete associativa, non investe abbastanza in servizi sociali, per cui è indietro rispetto al resto dei Paesi europei suoi pari. Troppo pochi i fondi stanziati per i Centri antiviolenza, che sono presidi indispensabili sui territori per dare risposte efficaci, scarsissimo l’impegno delle istituzioni per contrastare il fenomeno spregevole della tratta delle donne di strada, poche le iniziative nelle scuole.

Un po’ di strada è stata fatta dal “delitto d’onore” che fino a pochi decenni fa in Italia giustificava l’orrore, ma ancora tanta ce n’è da fare.

Mi vengono alla mente le parole di Luciana Littizzetto dal palco di Sanremo:

“Un uomo che ci picchia non ci ama, o quantomeno ci ama male. Un uomo che ci picchia è uno stronzo, sempre, e dobbiamo capirlo al primo schiaffo”, bisogna quindi lasciarlo immediatamente perché, come minimo, sta fuori di testa e deve riflettere della sua vita, su dove sta andando e su quali sono le sue priorità, e chiedere scusa.

Roberta aveva solo diciannove anni quel 26 luglio e stava andando al mare… Maria Rosaria lo aveva lasciato, ma lui non si rassegnava… e Fabiana a 15 anni non pensava di venire accoltellata e bruciata viva.

Scarpette rosse solo per ballare nella vita.

 

 

A cura di Giulia Parise